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Canone RAI: a quando l’abolizione di questo ingiusto, assurdo e anacronistico balzello?

Canone RAI: a quando l'abolizione di questo ingiusto, assurdo e anacronistico balzello?

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Purtroppo, con buona pace dei tanti che da anni auspicano l’abolizione di una delle tasse più ingiuste e illiberali a tutt’oggi presenti nel nostro paese, è giunto il momento di pagare il canone RAI. Non perderemo tempo a ricordare i tanti motivi che rendono assurda l’esistenza di questo anacronistico balzello, vero e proprio residuato bellico (fu istituito tramite il regio decreto-legge del 21 febbraio 1938, n. 246) di un’epoca senza telecomando, smartphone e PC. Né spiegheremo perché il suo mantenimento, con buona pace di chi lo difende pubblicamente per manifesto interesse personale – primo tra tutti Bruno Vespa, il quale celebra ciclicamente vere e proprie messe mediatiche sull’argomento – è palesemente anti-democratico, violando il principio della libertà di scelta e determinando un ovvio regime di concorrenza sleale, ulteriormente accentuato dal fatto che alla RAI è consentito anche – caso tra gli unici in Europa – trasmettere spot pubblicitari senza una regolamentazione ferrea.

Si tratta, sfortunatamente, di argomenti tanto ovvi quanto inutili, poiché evidentemente contrari alla volontà di una classe politica che ha tutto l’interesse – oggi come cinquant’anni fa – a tenere sotto controllo le reti televisive cosiddette “pubbliche” per evidenti fini propagandistici e di gestione del consenso. Una finalità che si sposa perfettamente con una RAI ricca e piena di dirigenti strapagati, ovvero esattamente ciò che ci tocca sopportare da decenni. Una realtà che è oggi resa ancora più evidente dalla recentissima pubblicazione (25 luglio 2016), sul sito web ufficiale dell’azienda meno pubblica che ci sia, della sezione trasparenza: quest’ultima, secondo quanto previsto dal Piano per la Trasparenza e la Comunicazione, si propone l’ambizioso obiettivo di trasformare gli uffici di Viale Mazzini in una casa di vetro: una risoluzione, come è ovvio aspettarsi, meramente di facciata, in quanto prevede la pubblicazione di un numero estremamente limitato di CV e di stipendi: soltanto i dirigenti che percepiscono una retribuzione annua pari o superiore a 200.000 euro. Un astuto espediente che tiene al riparo diverse centinaia di impiegati, funzionari e dirigenti, tra cui un gran numero di parenti, amici e altri accomandati noti da tempo (vedi sotto), i quali ricoprono notoriamente incarichi altrettanto remunerativi: ci riferiamo ovviamente a quel variegato sottobosco di vice-direttori, assistenti, consulenti, responsabili, quadri e capi reparto, per non contare i moltissimi che – analogamente al vergognoso caso di Carmen La Sorella, sia pur con cifre inferiori – percepiscono lauti stipendi per non svolgere alcun impiego.

I falsi miti

E’ invece cosa buona e giusta ricordare – e smontare opportunamente – i numerosi falsi miti che accompagnano sovente le dichiarazioni di chi, pro domo sua (come nel caso del sopracitato Vespa) o per stolida solidarietà nei confronti della propria squadra politica del cuore, cerca di indorare la pillola del canone o addirittura si lancia in una sua più che improbabile difesa.

L’incostituzionalità del canone nella bolletta elettrica

Alle pompose e roboanti dichiarazioni descritte poc’anzi fanno eco in questi giorni alcune recenti argomentazioni da parte di chi, per superficialità o interesse personale, saluta con entusiasmo l’introduzione del canone in bolletta vedendolo come uno strumento efficace per combattere l’evasione. Queste persone dimenticano che, secondo il sopracitato regio decreto legge del 21 febbraio 1938, l’imposta dovrebbe applicarsi soltanto a chi possiede un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano. L’applicazione del balzello all’interno della bolletta – pur prevedendo la possibilità da parte dell’utente di dimostrare, peraltro a sue spese e con pesanti quanto ingiustificabili vincoli temporali – è una manovra illegittima e incostituzionale. Sono di questo avviso la maggior parte delle associazioni a difesa dei consumatori come l’ADUC, il Codacons – che ha anche presentato un ricorso al TAR a riguardo – AltroConsumo e molti altri operatori di settore: ovviamente, la voce di queste organizzazioni non conta nulla di fronte alla necessità di far quadrare i bilanci del colosso di Viale Mazzini.

La pagliacciata della Trasparenza

Per restare in tema d’attualità, è il caso di ricordare il vero motivo dietro alla recente e già menzionata pubblicazione della sezione trasparenza sul sito ufficiale RAI. Non si tratta, come molti credono, di una concessione spontanea da parte dell’azienda, né di un obbligo subordinato alla nuova legge sul canone: al contrario, siamo di fronte a un pasticciato tentativo di ottemperare, in modo ovviamente incompleto, a un obbligo di legge che l’azienda di Viale Mazzini “evade” ormai da molti anni, compiendo un reato non dissimile da quello compiuto da chi decide di non pagare il canone. Del resto, se evadere le tasse è certamente un crimine, la mancata attuazione di quanto previsto dal decreto sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione non è certo da meno: eppure, stranamente, non mi risulta che né Bruno Vespa né altri tromboni stipendiati dal popolo abbiano mai evidenziato questo aspetto, preferendo di gran lunga indirizzare le loro invettive verso chi cerca di sottrarsi al gettito tributario, il quale viene ovviamente percepito come dovuto al di là di qualsiasi obbligo non rispettato dal suo esattore.

Finalmente, il 25 luglio 2016, qualcosa si muove: sul sito ufficiale RAI compare una voce trasparenza, mediante la quale è possibile visualizzare i CV e gli stipendi dei dirigenti e collaboratori che hanno percepito, nell’annualità 2015 o 2016, una retribuzione pari o superiore a 200.000 euro. Si tratta forse dell’attuazione puntuale di quanto previsto dalla legge? Assolutamente no. La RAI è tenuta a pubblicare sul proprio sito web i nomi e relativi importi percepiti da tutti i consulenti e professionisti esterni, a prescindere dall’ammontare della retribuzione: per legge, la mancata pubblicazione degli estremi dei contratti di consulenza comporta l’illegittimità dei relativi pagamenti: “Nessun atto comportante spesa ai sensi dei precedenti periodi può ricevere attuazione, se non sia stato previamente reso noto, con l’indicazione nominativa dei destinatari e dell’ammontare del compenso, attraverso la pubblicazione sul sito web dell’amministrazione o del soggetto interessato, nonché comunicato al Governo e al Parlamento” (art. 3, comma 44 della legge 244/2007). Sempre secondo la legge, in caso di violazione, la RAI e gli stessi consulenti sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di un importo pari a dieci volte l’ammontare della somma illegittimamente erogata. Un tentativo di far luce su questa faccenda è stato fatto dall’ADUC, che ha inviato un esposto-denuncia alla Procura della Corte dei Conti seguito da una (ennesima) interrogazione parlamentare: richieste che non hanno avuto purtroppo alcun seguito, a fronte delle scappatoie messe in piedi dalla RAI per non ottemperare ai suoi obblighi di legge.

Le Scappatoie

Ironicamente, i tentativi della RAI di evitare gli obblighi imposti dal decreto trasparenza della Pubblica Amministrazione ricordano molto da vicino le manovre compiute da quei cittadini che, evidentemente disgustati dallo stato in cui versa il servizio pubblico, cercano di trovare il modo di non pagare il canone pur senza rinunciare al possesso dell’apparecchio televisivo. Ad esempio, chi di noi non ha un amico che ha pensato bene di intestare la propria televisione ai genitori, ai fratelli o ai vicini di casa? Si tratta del più comune tra i fenomeni di evasione, uno dei motivi principali che hanno spinto il nostro Presidente del Consiglio verso la geniale idea di mettere il canone in bolletta. Al tempo stesso, la RAI dimostra di aver fatto tesoro di questo espediente, riuscendo ad “evadere” l’obbligo di legge di pubblicare i compensi dei propri collaboratori assumendoli non direttamente, bensì tramite società controllate. Niente male! A quando una legge per impedire questa evidente farsa?

Facciamo un altro esempio: ricordate il caso – descritto nel paragrafo precedente – del cittadino che aveva chiesto l’oscuramento dei canali RAI, sperando invano che tale richiesta lo avrebbe sollevato dall’obbligo di pagamento del canone? Questa storia ricorda molto da vicino l’espediente con cui la RAI è riuscita ad aggirare il tetto previsto dalla legge per la Pubblica amministrazione, il quale prevede una retribuzione massima di 240 mila euro per qualsiasi carica. Il 18 giugno del 2015 il Cda di Viale Mazzini, su proposta dell’allora direttore generale Luigi Gubitosi, sancisce l’applicazione del tetto per tutti i dipendenti e i dirigenti. Il 20 giugno del 2015, ovvero soltanto due giorni dopo, l’agenzia Reuters comunica il collocamento da parte della Rai di un bond da 350 milioni di euro: si attiva così la “falla” contenuta nella legge sugli stipendi pubblici, la quale garantisce piena libertà a qualsiasi società pubblica nel momento in cui emette un bond sui mercati quotati. Morale della favola, in soli due giorni il tetto scompare, aprendo la strada a retribuzioni faraoniche come i famosi 650 mila euro annui previsti per Campo Dall’Orto e molte altre regalie che ormai (purtroppo) conosciamo. In questo caso, più che di scappatoia, sarebbe opportuno parlare di truffa legalizzata, sulla falsariga di quelle che popolano le sceneggiature di quart’ordine che spesso gli autori strapagati di viale Mazzini ci propinano in prima serata: purtroppo è tutto vero, a volte la realtà supera persino le ridicole trovate delle fiction made in RAI.

Elenco dei raccomandati RAI

Concludo l’articolo con un aggiornamento, ahimè per nulla esaustivo, dei raccomandati che ricoprono – o hanno ricoperto in tempi recenti – incarichi significativi all’interno della RAI: inutile ricordare che i lauti stipendi di queste persone vengono pagati dal contribuente mediante il versamento obbligatorio del canone di cui sopra, aggiungendo in tal modo al danno anche la beffa. Ci auguriamo che, come più volte promesso da qualsiasi classe politica avvicendatasi in Parlamento negli ultimi anni, si riesca prima o poi a fare pulizia di questa lista di vergogne nazionali.

Figli di politici, lobbisti, uomini d’affari e altri potenti

 

Figli di ex-dipendenti RAI

 

Mogli e mariti

 

Fratelli e sorelle

 

Nipoti

 

Amici, compagni e amanti

 

Per il momento è tutto: buona visione e buon canone, nella spasmodica attesa che un rigurgito di civiltà riesca a togliere la cornucopia dalle grinfie di quegli immeritevoli crapuloni.

 

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