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Intervista a Christian Fassetta

Intervista a Christian Fassetta

Ciao Christian e grazie per aver acconsentito a questa intervista. Sono un po’ di anni che hai lasciato l’Italia e il campo dello Spettacolo ma in tanti ti ricordano bene e desiderano avere tue notizie.
La tua è una storia veramente affascinante perché nella tua vita hai fatto tantissime cose diverse e tutte con grande successo. Con il tuo aiuto, vorrei ripercorrere alcune delle tappe più importanti:
Sei nato a Milano il 31 agosto 1967 ed hai iniziato da piccolissimo a fare pubblicità per le riviste e per la tv

Ho iniziato a 6 mesi e neanche sapevo stare seduto da solo, mi raccontano che sul set c’erano mia madre e mia nonna che mi tenevano su davanti all’obiettivo. Presi una pausa dai 18 mesi ai 3 anni e poi ripresi a lavorare a Milano fino ai 12 anni, soprattutto nella Moda e nella Pubblicità.

A 4 anni hai preso parte al tuo primo sceneggiato Rai: “Il calzolaio di Vigevano”

Si, quella fu la prima esperienza di recitazione vera e propria.

Intorno ai 9 anni hai condotto “Il Miniclub” una trasmissione radiofonica per bambini su Radio MonteStella, una storica emittente milanese

Si, era una trasmissione pensata per avvicinare i bambini alla Radio. La “padrona di casa” era mia sorella Susanna e io la aiutavo nella conduzione. Insieme, leggevamo le letterine che ci scrivevano i bambini, le commentavamo e davamo loro consigli. Avevamo ospiti in studio, raccontavamo barzellette… Andavamo in onda tutti i giorni e avevamo molta libertà sulla scaletta, eravamo noi a scegliere, di volta in volta, gli argomenti di cui parlare in trasmissione.

Hai anche studiato all’Accademia del Teatro alla Scala.

Avevo 11 anni. All’interno dell’Accademia, la mattina si studiavano le normali materie di scuola e il pomeriggio si faceva lezione di danza classica. Non avevo una vera e propria passione per la danza ma mia madre ci teneva a darmi una formazione attoriale “all’americana”, cioè dandomi la possibilità di imparare ad essere un artista completo, pertanto anche saper danzare era importante. Ho superato le selezioni e sono entrato nella Scuola, ma ci sono rimasto solo un anno perché poi ci siamo trasferiti a Roma.

A 12 anni ti sei trasferito a Roma perché sia tu che tua sorella Susanna  eravate via via più impegnati con la Recitazione. E per fare Cinema e Teatro era meglio stare a Roma…

Prima si è trasferita mia sorella, che all’epoca aveva 17 anni. Poiché a Milano si faceva soprattutto Moda e Pubblicità, ha voluto ampliare le proprie possibilità nel campo artistico. Di lì a un anno l’abbiamo raggiunta a Roma anche io e mia madre.

Come hai vissuto questo cambiamento?

Ero già in un’età in cui cominciavo ad avere delle amicizie che mi è dispiaciuto lasciare. Quando sono arrivato a Roma dovevo fare la 2° media quindi mi sono dovuto unire ad una classe già formata, che già si conosceva da un anno. Ero l’ultimo arrivato e all’inizio ho fatto un po’ di fatica ad ambientarmi. Aggiungici poi che, essendo milanese, avevo anche un modo diverso di parlare rispetto ai miei compagni romani e all’inizio venivo trattato un po’ come un corpo estraneo.
Ma poi, alla fine, a Roma ho trascorso tutta la mia giovinezza e i miei più cari amici li ho conosciuti lì.

Tra i 10 e i 24 anni hai preso parte a molte altre Fiction Rai, tv movie e anche film per il Cinema. Per citarne qualcuno: “Quasi davvero” (1978) con Carla Gravina ; “Cenere per le sorelle Flynn” (1982) tratto da un racconto di Joyce ; “Inverno al mare” (1982) con Orso Maria Guerrini ;  “La stagione delle piogge” (1984) con Christopher Connelly, Senta Berger e Laura Morante. Ti piaceva stare sul set?

Si, alla fine mi sembrava una cosa molto naturale

C’è un lavoro tra questi che ricordi con particolare affetto o di cui sei più orgoglioso?

Sono felice di aver lavorato sempre con attori di grande prestigio.
Mi ricordo particolarmente Carla Gravina come una persona eccezionale, sia artisticamente che umanamente. Sul set sapeva mettermi molto a mio agio, senza mai atteggiarsi a “diva”.
Dal punto di vista personale, invece, sono più legato ad uno degli ultimi lavori da attore che ho fatto: “Una storia importante” (1987), che fu un film per il Cinema. Me lo ricordo con grande piacere perché il mio coprotagonista era anche il mio migliore amico.

Nel frattempo, e ancora da giovanissimo, hai lavorato a Teatro:  “Il lebbroso”, premiato al Festival dei Due Mondi di Spoleto, e “Una famiglia”, con Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice.
Hai anche preso parte al G.B. Show, con Gino Bramieri, al teatro Sistina, nel 1983

Il “G.B. Show” veniva registrato al teatro Sistina, alla presenza del pubblico, e poi trasmesso in tv. Ovviamente si trattava di uno spettacolo comico. E’ stato molto divertente recitare con Bramieri. Lì non si improvvisava niente, c’era per tutti un preciso copione.  Mi ricordo Bramieri come una persona molto alla mano e gentile.

In quegli stessi anni, soprattutto tra il 1980 e il 1991, hai fatto tantissimo doppiaggio. Hai dato la voce a molte serie d’animazione giapponese che in quegli anni hanno avuto un vero boom nel nostro Paese. Ti piaceva farlo?

Si certo, il doppiaggio per me è stato sempre il principale impegno. Di base lo consideravo il mio lavoro quotidiano e cercavo di farlo al meglio.
Ma se mi chiedi se, dopo aver doppiato dei cartoni animati, poi li riguardassi a casa, la risposta è no, non avevo molto tempo per farlo.

A 14 anni hai interpretato Enrico Bottini, il protagonista di “Cuore”, l’anime giapponese che era tratto dal romanzo di De Amicis.

Questa la considero un’esperienza di valore, perché la serie era tratta da un importante romanzo italiano. Ancora oggi un sacco di persone si ricordano di me come Enrico Bottini

A 17 anni hai fatto parte del cast dei doppiatori di “Holly e Benji” che è stato da subito (ed è ancora) un cult assoluto per tutte le generazioni di bambini che lo hanno visto. Cosa ricordi di quell’esperienza di doppiaggio?

Lo sapevo che mi avresti chiesto di “Holly e Benji”.
Sicuramente è stata una delle esperienze lavorative più piacevoli che ho fatto perché eravamo tanti ragazzi più o meno della stessa età che si alternavano al microfono. Ci conoscevamo tutti, era una generazione di attori con cui sono cresciuto insieme nelle sale di doppiaggio.
Devi sapere che doppiare non sempre è divertente perché si passano molte ore al chiuso, al buio, spesso da soli davanti al leggio… può essere un po’ alienante. Ma doppiare “Holly e Benji”  è stato molto bello perché andare a lavorare significava stare con gli amici. Cominciavamo ad avere un’età in cui c’era molta goliardia, ci si divertiva a prendersi in giro, ogni tanto qualcuno esagerava con le battute irritanti e qualcun altro si arrabbiava, ma faceva parte del gioco e poi finiva lì.
Eravamo tutti piuttosto bravi, quindi riuscivamo sempre a rispettare le pianificazioni in meno del tempo previsto, questo ci consentiva di poterci prendere anche delle pause lunghe per fare merenda insieme e scambiare due chiacchiere tra noi.
Un altro doppiaggio divertentissimo per me fu quello di Huckleberry Finn in “Tom Story- Le avventure di Tom Sawyer” , in cui lavoravo con Massimiliano Manfredi che interpretava Tom Sawyer. Nelle pause di lavoro, giocavamo a calcio nei lunghi corridoi degli Studi della vecchia Fono Roma con una palla improvvisata e facevamo arrabbiare il custode che ci gridava in romanaccio.

 

In Holly e Benji interpretavi Julian Ross, che è un personaggio emblematico della saga ed è protagonista di un arco narrativo molto drammatico di cui proprio tutti si ricordano. Pensa che anche ZeroCalcare, che oggi è il fumettista più popolare e impegnato d’Italia, ha usato Julian Ross come personaggio ricorrente nelle sue storie, è uno dei suoi spiriti-guida.

Julian Ross credo sia stato più importante per i telespettatori che per me come doppiatore. Sinceramente all’epoca non avevo la percezione di interpretare un personaggio speciale.

Essendo così giovane e così impegnato nei tuoi vari lavori, riuscivi a conciliare la scuola, la recitazione, lo studio e il tempo libero?

Alla fine sì, ci riuscivo. La mattina andavo a scuola e il pomeriggio lavoravo. Ero bravo nello studio e riuscivo a concentrarmi per fare i compiti velocemente anche nelle pause tra un turno e l’altro. Come ti dicevo, il lavoro di doppiatore faceva parte della mia normalità. Era parte della mia giornata. Non la vivevo come una privazione ma nemmeno come una cosa tanto speciale.
Ho frequentato il biennio al Liceo Scientifico ma detestavo il Latino, perciò ho voluto cambiare il mio corso di studi e alla fine mi sono diplomato in Informatica, che allora non era una materia così ambita come oggi ma a me piaceva molto.

Ti sentivi popolare in Italia? Hai mai ricevuto lettere dai fan?

A suo tempo no, anche perché all’epoca era quasi impossibile rintracciare un attore o un doppiatore, non esistendo i social network. Io poi, fuori dall’ambito lavorativo, non andavo a raccontare in giro quello che facevo ai miei coetanei. Ricevo molti più messaggi ora tramite facebook. Mi sorprende vedere di quante persone si ricordino di Enrico Bottini e Julian Ross.

Tutte le cose di cui abbiamo parlato fino ad ora, tu le hai fatte fondamentalmente da ragazzo. Poi, arrivato all’età in cui tanti iniziano appena a cimentarsi con la Recitazione, tu hai deciso di abbandonarla e fare tutt’altro.
Nel 1991, a 24 anni, sei andato a studiare in America e sei passato dallo Spettacolo alla Finanza.
Hai conseguito alcune Lauree, Master e Dottorati in diverse Università americane in Accounting, in Legge e in Business Administration. Quando hai preso la tua prima laurea alla University of Illinois sei stato Valedictorian (*ovvero lo studente più meritevole del corso, quello che ha l’onore di pronunciare il discorso di commiato a nome di tutta la facoltà) e questo nonostante l’Inglese non sia la tua lingua madre.

Sì, è stato un grande onore. Pensa che quando andavo a scuola nemmeno mi piaceva l’inglese e non capivo a cosa mai dovesse servirmi studiarlo.

Come hai capito che non volevi fare l’attore per tutta la vita?

Oggi in Italia si recita quasi esclusivamente in presa diretta e un attore deve essere per forza di cose molto completo: deve avere la faccia giusta e deve sapere anche recitare veramente.
Anni fa, invece, non funzionava così. Un attore, dopo le riprese, doveva per forza essere doppiato. Se era un bravo attore, si doppiava da solo, altrimenti, se non era capace, si chiamava un professionista per prestargli la voce e aggiustare la sua recitazione.
Mi è capitato più di una volta di essere chiamato a doppiare chi aveva una bella faccia sullo schermo ma oggettivamente non sapeva recitare e questa cosa ha cominciato a starmi stretta. Non mi sembrava giusto ed era frustrante. Non capivo perchè non si potesse scritturare direttamente un attore. Alla fine ho perso entusiasmo per questo ambiente. Poi, nel frattempo, ho conosciuto una ragazza americana e, quando lei è tornata negli Stati Uniti, ho deciso di seguirla.

Oggi sei Managing Director della tua società che si occupa di tax planning, financial management, e business consulting. Insomma, hai un curriculum fatto apposta per far venire i complessi di inferiorità.

Te l’ho detto che ero bravo nello studio.  Infondo a me piace molto imparare cose nuove e penso che nella vita si debba imparare il più possibile. Se vuoi saperlo, sono anche arbitro internazionale di pallavolo e pilota di Cessna, e ho diversi brevetti da sommozzatore.

Hai figli?

Si, 3 figli.

Loro parlano italiano?

No, anche se un paio di loro lo capiscono.

Hanno mai visto qualcosa di tuo?

No, mi conoscono per quello che sono oggi. Sanno del mio passato, ogni tanto salta fuori una foto e gli racconto qualcosa, ma fondamentalmente non ne parliamo granchè.

Essere ancora cercato o contattato da chi ti ricorda come attore e doppiatore ti mette a disagio o ti fa piacere?

Io sono molto rispettoso del Passato e quegli anni in Italia corrispondono ad un segmento di vita importante per me. Essere ricordato o cercato per quello che ho fatto da ragazzo mi fa piacere ma non è la cosa per cui vivo. E’ una fase che è stata parte di me, come altre.

Quanto ancora segui ciò che succede in Italia?

Al livello politico non molto, ho imparato che gli esseri umani alla fine sono sempre uguali dappertutto, indipendentemente dalle loro bandiere e dalle etichette che si danno.
Al livello cinematografico, invece, seguo abbastanza, soprattutto quando sono da solo o viaggio per arbitrare un torneo di pallavolo, guardo con piacere film italiani.

La cosa che colpisce più di te è che hai fatto tantissime cose e tutte benissimo, tutte ad alto livello. Qual è il segreto per riuscirci? E’ questione di talento? O di duro lavoro?

Credo che stia tutto nella motivazione e nella determinazione che hai nel voler raggiungere un obiettivo che ti interessa. Se ti dai una meta e poi ti metti a lavorare con serietà, è solo questione di tempo e, prima o poi, puoi raggiungere qualsiasi obiettivo.

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