The Watch: GdR e identità di genere (recensione) Recensione di The Watch, Gioco di Ruolo Powered by the Apocalypse (PbtA) di Anna Kreider e Andrew Medeiros che affronta coraggiosamente il tema della gender identity

The Watch: GdR e identità di genere (recensione)

In questo articolo parleremo di The Watch, interessante e innovativo Gioco di Ruolo di Anna Kreider e Andrew Medeiros uscito su Kickstarter nel dicembre del 2017 (raggiungendo un funding di oltre 30.000$) e oggi disponibile in versione PDF sul sito DriveThruRPG alla modica cifra di 10$.

Tra gli indubbi meriti di questo progetto c’è quello di aver introdotto coraggiosamente il tema dell’identità di genere all’interno dei Role-Playing Game, in piena continuità con l’operato dei numerosi movimenti che in questi ultimi anni stanno cercando di riaffermare tali tematiche all’interno di questo genere ludico, scardinando il contesto “ostile” rappresentato da comunità spesso estremamente chiuse nei confronti di tali  soggettività politico/sociali. Una realtà complessa e difficile da analizzare, che negli ultimi anni è stata affrontata con grande efficacia da game activist italiani e internazionali come Marta Palvarini (curatrice del bellissimo saggio Fuori dal Dungeon. Genere, razza e classe nel gioco di ruolo occidentale, pubblicato nel gennaio 2020 da Asterisco Edizioni), Avery Alder, Jaakko Stenros, Jon Peteron, Katherine Cross, Tanja Sihvonen e molti altri.

Powered by the Apocalypse

The Watch è un gioco di ruolo basato sul sistema Powered by the Apocalypse (PbtA), il noto “motore” creato da Meguey Baker e Vincent Baker (l’autore del famosissimo Cani nella Vigna) per il loro gioco Apocalypse World del 2010 e utilizzato da una gran quantità di RPG usciti negli ultimi anni, tra cui Monsterhearts, Dungeon World e molti altri.

Per chi non lo conoscesse, si tratta di un sistema che prevede una meccanica incentrata sull’esecuzione di “mosse”, ovvero un set predeterminato di azioni fortemente tematiche che i personaggi possono compiere per svolgere azioni e portare avanti la trama; le “mosse” a disposizione dipendono sia dall’ambientazione che dalle caratteristiche di ciascun PG, consentendo così di immedesimarsi rapidamente nel setting, ovvero nel contesto narrativo del gioco. Ovviamente ciascuna mossa può riuscire o meno a seconda di un tiro di dadi, solitamente a 6 facce, i cui risultati (calcolati in vari modi a seconda del sistema) possono determinare un successo completo, un successo parziale (con conseguenze potenzialmente negative) o un fallimento.

Il sistema riesce a integrare in modo efficace aspetti narrativi e meccanici, garantendo così un’esperienza di gioco soddisfacente per tutte le principali tipologie e sensibilità di giocatori: dai fan del “narrativismo” alla The Forge / Big Model Theory (che lo stesso Vincent Baker ha contribuito a innovare e, soprattutto, “rinnovare”) fino agli appassionati di tattiche, regole e procedure e quindi più affini a sistemi come Rolemaster e Pathfinder; il tutto, ovviamente, fermo restando che si tratta di un sistema nato per venire incontro i gusti dei giocatori che mettono al primo posto gli aspetti interpretativi legati alla costruzione della scena.

Il successo del Powered by the Apocalypse all’interno delle community di giocatori di ruolo è in ogni caso indiscutibile, come ampiamente testimoniato dall’enorme quantità di Role-Playing Game usciti negli ultimi anni che hanno scelto di adottare questo sistema; The Watch non fa eccezione, anche se il suo merito principale non è da tanto ricercare nelle meccaniche del regolamento quanto nelle particolarità dell’ambientazione e della premessa narrativa che innesca le dinamiche di gioco.

Ambientazione

The Watch propone una classica ambientazione light-fantasy di stampo medievale che ricorda per certi aspetti un misto tra la Scozia e l’Islanda di quel medesimo periodo storico: la società è organizzata in vari clan, ciascuno con le proprie caratteristiche, rivalità e rancori, ma che condividono un sistema di valori grossomodo comune.

I dettagli relativi all’ambientazione sono spiegati nella sezione iniziale del manuale, chiamata “Before the Shadow”: nome non casuale, visto che sarà proprio l’arrivo della “Shadow” a cambiare (tragicamente) le carte in tavola e a porre in essere i presupposti del gioco.

Per non rivelare troppi particolari ci limiteremo a dire che la “Shadow” (Ombra) è una forza misteriosa che a un certo punto invade il mondo e aggredisce le popolazioni dei clan, invadendo le menti e corrompendo lentamente l’animo delle persone, fino a trasformarle in mostri: la caratteristica peculiare dell’Ombra è che i suoi poteri agiscono in modo considerevolmente più forte e deleterio sugli individui che si identificano come maschi, seguendo però una dinamica basata sull’identità, non sulla genetica: questo aspetto è molto importante per il tema del gioco e il regolamento non manca di chiarirlo in modo esplicito, spiegando che l’Ombra, nelle intenzioni degli autori, non è altro che una rappresentazione simbolica degli effetti negativi della mascolinità tossica sulla società.

The Watch: GdR e identità di genere (recensione)

Per contrastare gli effetti nefasti dell’Ombra i singoli clan si trovano costretti a superare le proprie diversità e formare un fronte comune, una sorta di esercito unificato al quale ciascuno di loro contribuisce inviando le forze migliori: come si può facilmente intuire, questa forza di resistenza – a cui viene dato il nome di The Watch – è formata in modo prevalente da persone che si identificano nel genere femminile, a cui viene affidato il compito di dirigere le operazioni: gli uomini sono anch’essi presenti, ma vengono relegati a ruoli assolutamente marginali e tenuti lontani dalle prime linee – nonché da qualsiasi incarico di fiducia – poiché rischierebbero di essere corrotti e di mettere così in pericolo la comunità.

Identità di genere

L’aspetto che mi ha maggiormente colpito (e che ritengo personalmente geniale) è la cura con cui il manuale affronta, con una metafora estremamente efficace, il problema degli effetti nefasti della mascolinità tossica all’interno della società: al tempo stesso, però, il tema è trattato in modo estremamente maturo, superando la tentazione di cadere nelle principali ingenuità con cui la fiction contemporanea si ostina ad affrontare il problema:

  • L’approccio “Cute Girls Doing Cute Things (declinazione “al femminile” del più generico trope noto come Iyashikei), una tecnica molto utilizzata nei manga e negli anime – ma anche in alcune recenti produzioni occidentali – che consiste nel riempire il cast di personaggi femminili mantenendo però attivi tutti i principali stereotipi e luoghi comuni cari alla narrativa tradizionale: in questo modo le donne vengono sì messe al centro, ma sempre con lo scopo dichiarato di soddisfare e gratificare anche (se non solo) il pubblico maschile tradizionale.
  • L’espediente del Gender Flip, che consiste nel far interpretare a un cast femminile ruoli solitamente attribuiti agli uomini e viceversa (o, nei casi più estremi, a ricoprire entrambi i ruoli).

Si tratta di due modalità narrative che non a caso affondano le loro radici nella narrativa classica, quindi tutt’altro che originali: nonostante questo, negli ultimi anni abbiamo assistito a un incremento massiccio del loro utilizzo, quasi certamente spiegabile con la progressiva importanza che è stata (finalmente!) attribuita alle questioni di genere all’interno della fiction tradizionale. Sfortunatamente, nella maggior parte dei casi si tratta di “scorciatoie” che gli autori prendono per fornire una soluzione rapida e indolore a un problema molto più complesso, che peraltro in molti casi sortisce l’effetto opposto: anzi, non di rado la sessualizzazione a cui vengono spesso sottoposti i personaggi femminili rappresentati, nonché la loro inevitabile “riduzione” ad archetipi ad uso e consumo anche dello spettatore maschio tradizionale (la Moe, l’Ingenua, la Goffa ma Adorabile, la Tsundere, etc.) fanno pensare che spesso la “cura”, per così dire, sia peggiore del male, e che questa volontà di voler esibire la componente “estetica” della femminilità sia del tutto funzionale al mantenimento dello status quo.

Questo risulta particolarmente evidente nelle operedove la presenza maschile viene interamente soppressa, paradosso narrativo particolamente subdolo poiché viene non di rado apprezzato ed applaudito anche da chi chiede più uguaglianza di genere: in realtà il female-only cast è spesso la consacrazione definitiva della mascolinità, che viene rimossa dalle scene solo per essere gratificata ancora di più (e ancora meglio) al di là della quarta parete, cosa che risulta particolarmente evidente quando le “protagoniste” (o pin-up?) si trovano curiosamente a condividere la stessa corporatura – magari con piccole differenze, ma sempre potenzialmente desiderabile secondo i canoni maschili maggiormente in voga.

The Watch: GdR e identità di genere (recensione)

A ben vedere, The Watch è interessante proprio perché si discosta nettamente da queste semplificazioni, proponendo un approccio decisamente più complesso: il gioco non spinge a caratterizzare le donne al maschile, né a renderle un harem di stereotipi ad uso e consumo del giocatore / spettatore maschio. Questa complessità riguarda anche le modalità con cui viene spiegata l’ambientazione e le premesse su cui questa si basa, ovvero l’arrivo dell’Ombra e le conseguenze diversamente devastanti che questa ha sul genere maschile, sul genere femminile e sul tessuto sociale: il senso di quanto viene rappresentato non è che “gli uomini non sono cattivi”, ma che le donne – a cui è affidata la responsabilità della lotta per proteggere la società – non possono permettersi di ritenere che alcuni di loro siano “buoni” fino a quando l’Ombra non viene affrontata e sconfitta.

Il manuale chiarisce peraltro come il genere femminile non sia immune all’Ombra: semplicemente, le persone che si identificano come maschi hanno enormi difficoltà a resistere. Una intuizione estremamente suggestiva che ricorda per certi aspetti la società descritta all’interno del manga Claymore di Norihiro Yagi, dove pure troviamo un esercito formato da sole donne (le Claymores, appunto) stante l’incapacità degli uomini di resistere agli effetti nefasti del “sangue” degli Yoma, necessario per poter combattere gli Yoma stessi.The Watch: GdR e identità di genere (recensione)A differenza di Claymore, che pur partendo da ottime premesse non riesce ad essere particolarmente incisivo sul tema dell’identità di genere, e anzi finisce per cadere in parte vittima dell’inevitabile “effetto pin-up” delle protagoniste descritto poche righe fa, ritengo che gli autori di The Watch abbiano fatto davvero un ottimo lavoro sotto questo punto di vista. Per questo motivo consiglio vivamente di approfondirlo a chiunque sia interessat* da queste tematiche, anche perché si presta ottimamente ad essere giocato online.

Prima di concludere questa recensione non posso esimermi dal menzionare gli ottimi disegni che accompagnano la versione PDF del manuale, realizzati dalla bravissima Claudia Cangini e che aiutano non poco ad entrare nelle cupe e desolate atmosfere del freddo mondo descritto.

Se riuscite a provarlo, fatemi sapere cosa ne pensate!

Conclusioni

Se vi interessa saperne di più su The Watch, ecco un elenco di utili riferimenti online:

Alla prossima!

 

About Dark

Sviluppatore, analista di progetto, web designer, divulgatore informatico. Lavora come IT Architect per il design e lo sviluppo di siti, servizi, interfacce e applicazioni web e per dispositivi mobili.

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